Alberto Cei
Psicologo dello sport
Il doping è un inganno sociale
Nello sport il doping si è diffuso in modo così ampio da quando è diventata dominante la filosofia secondo cui "l'unica cosa che conta è vincere" e quindi "il secondo è il primo dei perdenti".
Se a questo approccio si aggiunge la presenza di gare durante tutto l'anno, i notevoli investimenti economici degli sponsor, la continua visibilità sui media degli atleti e delle loro squadre, emerge con chiarezza la forte pressione esercitata sugli atleti ad essere competitivi durante tutto l'arco della stagione che ormai è di 11 mesi. E non è solo ciclismo. Basta pensare al baseball, sport americano per eccellenza, dove per lungo tempo non vi è stato alcun controllo e i battitori sono stati chiamati "bombardieri" per la forza impiegata nel riuscire a fare sempre più fuori campo, determinati non solo dalla loro abilità ma dall'uso continuato di sostanze dopanti, tanto da essere chiamato questo periodo "L'Era degli Steroidi".
Il doping può essere definito come un inganno nei confronti della società, perchè è un comportamento diretto a ledere con l'inganno un diritto altrui, che è quello di competere alla pari. Consiste, quindi, nell'ottenere un risultato vantaggioso per colui che lo ordisce, facendo avere agli ingannati notizie false e si caratterizza in termini di volontarietà nella ricerca delle strategie d'inganno e dei modi per attuarle. Una seconda componente cruciale di questo processo di frode riguarda la rilevanza dell'inganno per gli ingannati. La terza comporta il sottrarre informazioni indispensabili e tali che il comportamento degli altri atleti sarebbe stato diverso se fossero stati in possesso di notizie corrette. In altre parole è stato fatto credere il falso (vinca il migliore) e non è stato fatto sapere il vero (l'uso di sostanze proibite per migliorare le prestazioni). Queste considerazioni introducono il quarto ed ultimo aspetto presente nel processo dell'inganno: non si fa sapere all'ingannato che lo si sta ingannando.
Per giustificare questi comportamenti si sviluppano anche forme di autodifesa che negano l'esistenza della truffa. Ad esempio si pensa "tanto lo fanno tutti" o ci si dice "se non mi aiuto con qualche farmaco non posso vincere". Si pensa di fare solo quello che già altri fanno: "guarda Tizio e Caio sono campioni osannati per le loro vittorie, eppure lo sappiamo tutti come hanno fatto a raggiungere questi risultati". Si pensa di salvaguardare la propria salute: "se mi affido a un bravo medico, quello mi segue così bene che nessuno mai mi scoprirà". Ci si dice di non avere altra scelta: "e poi che faccio se mi rifiuto, vengo messo da parte e non c'ho mica i soldi per vivere di rendita, sono ancora giovane e non ho un altro mestiere". Ci si convince ulteriormente dicendosi "lo faccio solo per un po', per fare una bella stagione agonistica, così strappo un bel contratto per l'anno prossimo e poi ci si ferma". Ci si illude che non fa male: "con tutti quegli atleti che si dopano, proprio a me deve fare male? Sono giovane, sono forte, mi alleno come un matto, con le medicine mi metto solo alla pari degli altri e non gareggio con l'handicap".
Quando l'obiettivo è solo la vittoria è facile convincersi della correttezza di questi pensieri, anche perché è l'ambiente sportivo stesso che ha favorito l'affermarsi di questa mentalità, che ha come obiettivo lo sfruttamento senza limiti del campione e dei giovani talenti. I giovani sono infatti le persone più vulnerabili al canto delle sirene del doping, presentato come la scorciatoia vincente per realizzare il proprio sogno di diventare un campione ammirato da tutti. Sono poche le storie conosciute di atleti molto giovani che hanno iniziato questo cammino negativo. Una che è servita a porre maggiore attenzione su questo problema è
quella di Efrain Marrero un ragazzo di 19 anni che giocava a football, un giorno sua madre scoprì che faceva uso di steroidi. Insieme al padre gli dissero di smettere perché era pericoloso ma il giovane sosteneva che anche Barry Bonds idolatrato campione di baseball lo faceva. I genitori gli risposero che era sbagliato, Efrain promise di smettere e mantenne la promessa.
Tre settimane dopo si suicidò nel letto di casa con un colpo di pistola alla testa. Non era un ragazzo depresso o problematico, i medici spiegarono ai genitori che la causa di questo gesto disperato era stata l'improvvisa sospensione degli steroidi. Dissero che quando un individuo assume degli steroidi, il corpo sopprime la produzione naturale di testosterone. Dopo che l'assunzione viene interrotta sono necessarie settimane o mesi perché l'organismo ritorni a produrne a livelli normali, in questa fase però le persone sono particolarmente vulnerabili a profondi cambiamenti d'umore.
Questo caso illustra meglio di ogni ragionamento quanto i giovani possano lasciarsi influenzare dai loro miti sportivi e sino a che punto siano disposti a spingersi pur di avere un giorno, forse, il successo. Marrero non era comunque solo nell'uso degli steroidi e anche altri giocatori della squadra li assumevano. Perché l'atleta non agisce da solo, è comunque parte di un sistema organizzativo che comprende da caso a caso la partecipazione di compagni, medici, preparatori fisici, allenatori e dirigenti sportivi. Questa storia dimostra come i giovani, anche se inseriti all'interno di una squadra e in un club sportivo, troppo spesso sono abbandonati a se stessi, sono senza alcun controllo sul loro stato di salute e sull'eventuale assunzione di pillole e bibitoni che, come si è visto possono essere letali, e l'ambiente sportivo non è sempre interessato a educarli mentre è disponibile a lasciarli crescere nel mito di campioni discutibili.
http://www.huffingtonpost.it/alberto-cei/il-doping-e-un-inganno-so_b_3022234.html?utm_hp_ref=italy