Doping: perchè NO? Le vostre motivazioni ...

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Apprendista Velocista
24 Aprile 2009
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Allego in calce la lettera di Wiggins su THE GUARDIAN ai suoi tifosi. La domanda è:

perchè il doping è da condannare?

La risposta sembrerebbe ovvia ma scommetto che le opinioni saranno diverse. Il campione lo chiarisce in questa lettera ( e c'è da augurarsi che sia sincero).


“Mi sono state fatte delle domande sul doping in questi giorni e io non mi sento di avere dato una risposta tanto esauriente quanto avrei voluto. Capisco che, vista la storia recente di questo sport, mi vengano fatte, ma in ogni caso mi danno fastidio. E’ difficile sapere cosa dire, mezz’ora dopo aver terminato una delle corse più difficile che hai mai corso, quando sei a pezzi. Le insinuazioni mi fanno arrabbiare, perchè pensavo che le persone avrebbero ripercorso la mia storia, le cose che ho detto quando è scoppiata l’Operacion Puerto alla vigilia del Tour 2006, quelle che ho detto quando Landis è stato trovato positivo e quelle che ho detto quando sono stato allontanato dal Tour con la Cofidis dopo che Cristian Moreni è stato beccato nel 2007.
Ritornando a casa, ho gettato il mio kit Cofidis in un cestino dell’aeroporto di Pau perchè non volevo essere visto con nulla di loro addosso, e ho giurato che non avrei più corso con quei colori perchè ero troppo arrabbiato per quello che era successo. Ciò che ho detto allora, resta vero oggi. Nulla è cambiato. Sento le stesse emozioni e rimango sulle frasi dette.
Per capirmi, credo che la gente debba guardare al contesto da cui provengo, al modo in cui questo sport è cambiato ed io sono migliorato. Mi vedono andare forte in una crono come ho fatto domenica: posso farlo perchè ho lavorato duro per colmare il gap che c’era fra me, Cancellara e Tony Martin. Cosa viene dimenticato è che la differenza fra me e questi ragazzi non era enorme in passato, anche se prima non mi impegnavo neanche lontanamente quanto sto facendo in questi due anni.
Credo che negli anni di aver dimostrato quello che posso fare. Sono stato quinto nella cronometro di Albi del 2007, dietro Alexandr Vinokourov, Andrey Kashechkin, Cadel Evans e Andreas Klöden.
I primi due sono stati testati positivi e quindi sarei stato terzo, a due settimane dal via di un Tour che non era in cima ai miei obiettivi.
Avevo già il motore, e lo ho mostrato quell’anno vincendo vincendo il prologo al Delfonato e la Quattro giorni di Dunquerque. Come nel 2005 quando sono stato settimo ai mondiali a cronometro: due corridori arrivati davanti a me, Vino e Kashechkin, sono stati più avanti squalificati per doping; un terzo, Ruben Plaza, è stato implicato nell’Operacion Puerto. Quell’anno ho vinto una tappa di montagna al Tour de l’Avenir.
Quando mi guardo indietro, ricordo quello che succedeva allora in questo sport, e trovo che fosse un’altra epoca. Personalmente la trovavo difficile. Dovevo provare a negoziare un contratto – poniamo di 50.000 sterline – Avevo due figli di cui preoccuparmi, una sussistenza da guadagnare con tutto quel che stava succedendo, e la gente mi insultava perchè altri erano dopati. Ero risentito, e non ero affatto timido nel dire quel che pensavo del doping perchè danneggiava direttamente la mia vita e quella della mia famiglia.
Da allora, i controlli hanno iniziato a funzionare meglio, è stato introdotto il passaporto biologico, e quindi è più difficile doparsi. Le possibilità di essere beccati sono molto più alte di prima. Credo che questo sport stia cambiando, se guardo a quel che hanno fatto Ryder Hesjedal al Giro d’Italia e Chris Froome alla Vuelta. Da quando il cambiamento è iniziato, le mie performance sono migliorate, conseguentemente all’aumentare del mio impegno.
Non sto dicendo che il nostro sport sia uscito dalle palude, ma che per me il doping è un problema meno preoccupante, non è più un chiodo fisso nella mente, perchè non sono più battuto da atleti che poi vengono trovati positivi. Se c’è una differenza in me rispetto al passato, è che oggi sono più concentrato su quello che sto facendo. Presto meno attenzione a quel che succede fuori dalla mia bolla perchè non finisco più secondo dietro a gente che si dopa.
Mi tocca di meno, in termini di preoccupazioni, ma la cosa importante è che nulla è cambiato in quello che provo. Nulla è cambiato delle ragioni per cui mai mi doperei. Infatti, le ragioni per cui non userei mia droghe sono più importanti. Ho una famiglia, una vita che ho costruito e che avrei troppa paura di perdere se mai venissi beccato. Ho scritto tutto ciò nella mia autobiografia nel 2008 e sento le stesse cose oggi. E’ solo che lo dico meno. C’è più attenzione su di me, e questo mi rende più chiuso. Non mi trovo a mio agio nel ruolo di leader, come è stato scritto nel mio libro.
La domanda cui bisogna rispondere non è “perchè non prenderei mai droghe?”, ma “perchè dovrei farlo?” So esattamente perchè non mi doperei mai. Sono arrivato al ciclismo professionistico con un background differente rispetto a quello di molti altri ragazzi. C’è una differenza culturale nel ciclismo britannico. La Gran Bretagna è una nazione in cui il doping non è moralmente accettabile. Sono nato in Belgio, ma cresciuto in Gran Bretagna, in me il valori olimpici sono tanto importanti quanto quelli del Tour. Non mi interesso di cosa dice la gente, l’atteggiamento nei confronti del doping in Gran Bretagna è diverso rispetto a quello che c’è in Italia o in Francia forse, dove un corridore come Richard Virenque può doparsi, essere beccato, squalificato, tornare e diventare un eroe nazionale.
Se mi dopassi potrei potenzialmente perdere tutto quello che ho. La mia reputazione, la mia tranquillità, il mio matrimonio, la mia famiglia, la mia casa. Tutto.
Ho raggiunto le mie medaglie olimpiche, i miei titoli mondiali, il titolo di Baronetto.
Andrei a prendere i miei figli in una scuola sperduta del Lancashire con tutti gli sguardi addosso, tutti saprebbero che ho imbrogliato, che ho vinto il Tour de France, ma che poi sono stato beccato. Mi ricordo che nel 2007 ho gettato il kit della Cofidis in un cestino dell’aeroporto di Pau, dove nessuno mi conosceva, perchè non volevo essere associato in alcun modo al doping.
Poi immagino come sarebbe la mia vita in una piccola comunità come la mia in cui tutti sanno tutto di tutti.
La faccenda non riguarda solo me. Ho sempre vissuto in Gran Bretagna. Tutti i miei amici sono nel ciclismo, e così la mia famiglia allargata. Il ciclismo per me non è solo il Tour de France. Mia moglie organizza gare in Lancashire. Ho il mio centro dove la gente viene e paga 40 sterline per andare in bici. Se tutto questo fosse costruito sulla sabbia, se stessi imbrogliando tutte quelle persone, dovrei vivere con la consapevolezza che tutto potrebbe scomparire da un momento all’altro. Mio suocero lavora nel ciclismo e non sarebbe più capace di farsi vedere ancora in giro. La sua famiglia è nel ciclismo da 50 anni, e io li farei sprofondare nell’imbarazzo e nella vergogna. La faccenda non riguarda solo me: se io mi dopassi Sky, che sponsorizza tutto gli sport in Gran Bretagna, rischierebbe di finire in rovina e con essa Dave Brailsford e tutto ciò che ha fatto, e il mio allenatore Tim Kerrison.
Semplicemente non voglio vivere in una situazione così. Doparsi non varrebbe la pena. Stiamo parlando solo di sport. Lo sport per me non significa più di tante altre cose che ho, vincere il Tour de France ad ogni costo non varrebbe la pena di perdere tutto quello che ho.


Non voglio rischiare di perdere tutto quello che ho avuto dalla vita. Non voglio perchè amo quello che ho. Non rischierò per una “pozione magica”: alla fine della giornata sono un ragazzo che non vede l’ora di portare suo figlio al campo estivo di rugby dopo il Tour, dove forse incontrerà il suo eroe, Sam Tomkins. E’ questo che mi sta facendo rimanere qui. Quello che mi piace è dare il massimo e lavorare duro. Se sentissi di avere bisogno di doparmi, smetterei domani stesso, mi metterei a correre cronometro di dieci chilometri, andrei in bici al bar la domenica, e mi metterei a mettere a posto le mensole alla Tesco.“
 
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